Forme di: Angelo Catano \ Luna De Rosa \ Michela Di Carlantonio \ Maurizio Righetti
Parole di Roberta Ortolano

Angelo Catano

Nasce nel 1951 a Orsogna. Consegue la maturità in Arte Applicata, sezione metalli e oreficeria, presso l’istituto d’Arte di Lanciano. Si laurea nel ‘73 all’Accademia di Belle Arti di Urbino in scenografia. Si trasferisce a Milano dove nel 1974/75 lavora come assistente di studio del pittore Rodolfo Aricò. Collabora con Eugenio Carmi, Pino Spagnulo, Enzo Mari. Dal 1975 al 1980 insegna all’Accademia di Belle Arti di Urbino. Qui conosce molti artisti contemporanei: Fiume, Manzù, Tozzi, Treccani, Dorazio ed altri che operano presso le stamperie d’arte della città per le loro opere grafiche che Catano segue e cura personalmente. Dal 1980 insegna Decorazione all’Accademia delle Belle Arti di Foggia. Negli anni 80 espone le sue opere in Italia e all’estero con successo. Il pubblico e la critica amano opere così fresche, apparentemente ingenue, ironiche ed evocative di un tempo passato, forse mai esistito, ma attualissimo nella sua fantasia. Sue opere si trovano in collezioni private e pubbliche in tutto il mondo. Hanno scritto del suo lavoro, tra gli altri A. del Ciotto, F. Di Gioia, M. Casamassima, O. Donati, G. Dorfles.


Luna De Rosa

Nata a Lanciano nel 1991, vive e lavora tra Milano e Berlino, dopo aver compiuto gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e l’Akademie der Bildenden Kunst a Vienna in Arti Visive.
Luna De Rosa esprime la propria ricerca e produzione artistica attraverso la realizzazione di installazioni, performance, video e dipinti che richiamano ad una realtà onirica, trasognante, alienante. Una realtà fatta di identità sfuggenti e corpi avvolti, sigillati e rinchiusi in spazi, che come in un bozzolo, aspettano una trasformazione, un cambiamento. Ha esposto in Italia e all’estero: spesso a Milano, Monticello Brianza, Massa Carrara, Venezia, Londra, Berlino, Andelsbuch e Bregenz (Austria).


Michela Di Carlantonio

Nata ad Atessa nel 1996, si è diplomata presso il Liceo Artistico “G. Palizzi” di Lanciano nel 2015, indirizzo Design. Ha proseguito gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata, dove si è laureata nel 2018 in “Illustrazione e Grafica d’arte”. Attualmente sta concludendo gli studi magistrali in “Illustrazione per l’Editoria” sempre presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata.  


Maurizio Righetti

Vive e lavora a Santa Maria Imbaro (Ch). Autodidatta, negli anni 90 ha esposto i suoi lavori in numerose mostre personali e collettive. La materia (dal latino mater, madre nel significato di tronco che genera rami) è alla base di tutti i suoi lavori. Vetro, legno, argilla, sabbia, colori in polvere, smalti, terra, colla vinilica sono i materiali che manipola per realizzare quadri, sculture, installazioni. Ironia e sacralità, memoria, territorio ed identità sono le linee guida della sua ricerca.


Roberta Ortolano

Qualche giorno fa ci siamo ricongiunte con la Majella che in un momento di difficoltà e paura ci ha ricordato cose di cui avevamo bisogno. Ci ha svelato l’acqua che si infiltra e scorre dentro il nonostante. Non lo combatte, ma lo trasforma. Ne colma gli spazi vuoti scovandone tutte le strade possibili.

Ci siamo ricordate delle peripezie della luce, dei suoi salti acrobatici, della sfacciataggine del giallo e del blu, delle abilità del verde e del bianco, della presenza rassicurante dell’ombra e della frescura del buio. La montagna ci ha detto che i colori nascono solo nell’incontro e restano nella sospensione del vago e dell’incerto.

Ci ha sussurrato che per capire la natura – e il nostro corpo che ne fa parte – non bastano né l’etica, né la grammatica e nemmeno la matematica euclidea. Per starci dentro invece sono sufficienti il respiro e l’equilibrio.

La terra è piena – vermi, formiche, bruchi – è piena di radici, che le si avvinghiano e resistono con quell’abnegazione di certe madri.

La Majella ci ha svelato – e noi abbiamo ascoltato con avidità – come la pazienza dell’undicesimo secolo ha potuto trasformare una roccia in una casa e come da quella roccia si è potuto rinunciare al papato e al potere.

Ci ha detto che le insenature, i rami incrociati, annodati e caduti, e i precipizi moltiplicano i punti di vista e rendono vere solo le differenze. Che niente è armonico e normale.

La montagna ci ha detto che ci sono strade che non possiamo percorrere e luoghi nei quali siamo estranei. Che camminare in posizione eretta non è facile né scontato.

Certi sentieri vanno percorsi solo in punta di piedi, altri in ginocchio o a quattro zampe con l’orecchio teso al frinire delle cicale e ai versi scomposti degli uccelli che non si fanno vedere.  In certi sentieri il mio corpo si blocca di una paura inesprimibile, come se il vedere fosse ingannevole, come se fosse impossibile lasciare andare l’illusione del controllo. A volte l’erba è più alta di noi, sfoggia acconciature alla moda e sguardi superbi,  bisbiglia al nostro passaggio pettegolezzi e risatine.

E mentre ci allontanavamo infine, sulla via del ritorno, ci ha inseguito un tramonto fiammeggiante che si nascondeva tra le vette e le curve dell’orizzonte non avendo alcuna intenzione di essere guardato né ammirato. A quel punto – e solo quando non ce lo aspettavamo – Artemide, dea ragazza del boschi e del margine, ci ha lanciato una freccia a bruciapelo mostrandoci i suoi daini in fuga, spaventati dal nostro incedere, tanto per dire che fare finta di non avere paura non serve a niente.

Roberta Ortolano

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